Follow
Top

PRESS

 

Giulia Perelli si racconta
“Cambio gli strumenti intorno alla stessa immaginazione”

Living – Il prestigio dell’essere
Living – Intervista 2014

Video intervista Sky Arte 2013, con Daniele Ongaro
Sky Arte 2013

Video intervista 2013 Giulia Perelli e Jan Fabre 
Intervista 2013

RAI5 Video intervista
RAI5

Inside Art
2013.10.16 “Guerrieri della bellezza”

Repubblica, Rodolfo Di Giammarco
Repubblica – Jan Fabre Maratona di Performace per l’artista

Teatro Critica, Intervista 2013
Follia Teatrale – Di Jan Fabre, riflessioni con Giulia Perelli

Intervista Mouvement FR 
Mouvement – “Rien de Rien”

“Niente di niente”

Giulia Perelli, performer di Jan Fabre, ci parla di amore, d’arte, di bellezza, di teatro e scrittura.

Giulia Perelli non ama definirsi, come se una definizione potesse fissarla in un istante pronto a cambiare. Ammette che ha sempre preferito apprendere ciò che non sapeva già. Dopo aver imparato a leggere e scrivere infatti, decise di iscriversi al Liceo artistico di Lucca, Toscana, per imparare a disegnare. Ancora oggi disegna, scrive, danza e recita per la compagnia di Jan Fabre: Troubleyn. Quindi, perché non cominciare a fare video?

La curiosità di questa giovane artista poliedrica l’ha portata a combinare tutte le sue esperienze passate, competenze e talenti in un lavoro personale in cui è sceneggiatrice, regista e performer. Questo lavoro si chiama Un bel niente, Nietzsche : un video in cui si alternano sequenze parlate e tableaux vivants, simboli e movimenti danzati. E il tema dell’opera, vi chiederete? L’amore e la sua banalità complessa che può portare, come quella del male, a delle conseguenze inimmaginabili. Dietro ad una domanda apparentemente stupida come “Sei truccata?”, può nascondersi un mondo doloroso fatto d’invidia, desiderio, rabbia, razionalità e cattiveria.

Il lavoro con Jan, come ha influenzato il tuo lavoro da regista nel video Un bel niente. N. ?
Credo che essere stata tanto accanto a questo artista, che sperimenta come uno scienziato pazzo, con tutti i mezzi e gli strumenti le possibili le espressioni della Bellezza, mi ha dato soprattutto la gioia di essere eclettici. Mi sono data il permesso di spaziare.
L’ho fatto con i miei mezzi, ho contaminato i miei linguaggi.

E’ stata una ricerca per creare, soprattutto formalmente, qualcosa che aderisce al mio modo di vedere e di sentire. Più vicino possibile ai miei organi.
E’ molto affine a me. Ma chi sono io? Io sono composta da tanti pezzi e da talvolta, da pezze.  C’è anche Jan Fabre nella mia esperienza, c’è il fatto di essere una donna, di essere italiana, di amare Michelangelo, il rinascimento, i vulcani, l’acqua, gli animali della mia infanzia e dei miei sogni. C’è lo sforzo della relazione, il cinema di sguardi, la poesia, il disordine delle circostanze accadute, gli incontri, le angosce, la preghiera trasmessa dai miei antenati, la pittura di mio padre.
Siamo interconnessi e ci contaminiamo. Ma in questo rumore ognuno è la sua musica instabile. E questa somiglia a me.
E poi le opere si fanno anche un po’ da sole.

– Che cosa intendi tu per preghiera?
Sento la potenza della preghiera come intenzione interiore. Non so se è un’istinto umano o se fa parte dell’eredità familiare e della mia cultura.
In questo video ci sono i sussurri interiori che affollano la nostra mente.
Sono, a volte, voci non nostre, ma di chi in qualche modo agisce in noi.
Ma quando la nostra vera voce finalmente emerge, allora è preghiera. Un’ intenzione forte che trasforma.
Una preghiera detta in silenzio, continuamente, a l’Altro. E l’Altro la percepisce nel profondo, dietro le parole. Qui accade al protagonista maschile: la preghiera sussurrata di lei rompe il suo ghiaccio e lui si scioglie.
Sono parole alchemiche, perché trasformano.

– Che ne pensi di Jan Fabre come direttore artistico del festival di Atene?
E’ stata una vicenda molto spiacevole, vorrei sapere più i fatti che le opinioni per farmi un giudizio che sia valido.
So che il ministro greco voleva rendere più internazionale il festival, e forse ha scelto Jan Fabre non solo per la sua fama, ma anche perché lavora con artisti di tutto il mondo. Nelle sue compagnie ci sono greci, croati, italiani, francesi, australiani, tedeschi, non solo fiamminghi. I suoi sono spettacoli davvero internazionali.
So che Jan Fabre aveva chiesto un co-curatore greco che conoscesse bene la scena artistica del suo Paese, visto il poco tempo a disposizione per organizzare la programmazione del Festival. E che aveva proposto tante iniziative di contaminazione tra culture.
Non voglio però sminuire i commenti dei greci. Vorrei azzardare un’ipotesi, una mia sensazione.
Ho l’impressione che il problema sia quello di essersi sentiti invasi, di non riconoscere nella figura di Jan il curatore adatto per il loro Festival.
Credo sia una reazione istintiva, che però non ha a che vedere con quello che effettivamente ha fatto Jan Fabre.
La Grecia è un Paese con una forte identità, ed ha attraversato un periodo delicato socialmente e politicamente. Aveva forse bisogno di ritrovare in sé, nel suo popolo, le forze per decidere e per dare voce alla sua cultura, come spesso accade nei periodi di crisi. Riscoprirsi padroni di sé stessi.
Forse non era il momento per loro di aprirsi all’idea di “farsi organizzare” da un artista di un altro Paese che, simbolicamente, porta con sé, “rappresenta” l’Europa. Un’Europa già padrona” dell’economia che tanto li ha oppressi negli ultimi anni.
Credo che dietro a reazioni emotive così forti, di ostilità senza, sembra, un vero tentativo di dialogo, ci sia questa dinamica.
Sarebbe bello, attraverso l’arte, dar sfogo e far emergere la coscienza sociale del Paese, con le sue ferite, e ridare il giusto valore alla sua bellezza.
Spero che il dolore degli ultimi anni non chiuda il cuore e la mente degli artisti greci, ma che, al contrario, li porti ad essere sempre più aperti, cooperativi e perché no, a dare proprio loro e tutti noi artisti l’esempio ai politici, andando oltre il rancore, il dolore, verso la costruzione di una comunità umana.
Non è forse l’arte ad essere così capace di farci scorgere, dietro alla diversità, la nostra stessa umanità?

– Cosa rappresenta il mondo animale e la natura per te ?
Sono cresciuta ai margini di un bosco che ho sempre sentito magico, fucina di evocazioni, il mio paradiso, un luogo vivissimo, che mi parla e mi ha parlato molto.
Gli animali hanno il mistero, qualcosa che ci insegna ad essere più sensibili. Oltre ad evocare simboli e ad essere così belli, rendono una scena più vulnerabile e imprevedibile.

In questo video ho pensato a Noè, chiuso in un’arca. L’arca è forse un secondo utero, dove si è ritirato per conoscere gli animali,  probabilmente parti di sé stesso, i suoi istinti, le sue pulsioni.
Ho voluto qui, come avviene spesso nei sogni e nelle favole, rappresentare le passioni umane in forma di animali. Cercando di non dare, io, un significato univoco, come avviene spesso, in qualche tipo di psicanalisi. Ma lasciare che ce lo dicano loro, e può essere diverso per ognuno di noi. Con una interpretazione unilaterale  si rischia altrimenti di tener chiuso un potenziale d’immaginazione che invece è infinito. Vorrei che ognuno si prendesse la responsabilità di lasciarsi attraversare da quello che sente.

– In che modo comunicano persona e personaggio nel tuo lavoro con Jan e nei tuoi lavori personali ?
Nel lavoro con Jan Fabre siamo noi performer a dover creare la magia, siamo registi di noi stessi, c’è un’occhio che vigila sull’intero contesto.  Abbiamo un’azione da fare, in presenza e attenzione, “qui e ora”, ma non ci fermiamo a quello. Siamo come dei calciatori, abbiamo poche azioni, ma ne dobbiamo fare uno spettacolo.
L’idea di performance dove non accade niente mi è lontana.
Questo avviene anche nelle mie interpretazioni, se dirigo io.
Se c’è un altro regista, invece, voglio lasciarmi andare completamente alle sue decisioni e vedere che succede.
In ogni caso, parto da una mia reale apertura, faccio fatica a fare cose che non sento autentiche.

– Cosa ispira la tua estetica e il tuo modo di scrivere ?
Vado sul margine, focalizzo qualcosa che emerge dalla miriade delle possibilità. Un piede in fallo, uno squilibrio o una traboccante bellezza. La prendo, è piccola, un fiocco di neve, e vedo dove mi porta. La nutro con tutto quello che riesco a sentire e a vedere. Cercando di arrivare a sentire e vedere il più possibile di tutto quello che esiste.
E’ un atto di attenzione intensa.

– Da dove sorge il titolo del tuo video ?
E’ un gioco di parole.  “Un bel niente”, come modo di dire italiano e poi il Niente di Nietzsche, che è bello, perché cosciente e complesso.
C’è una contraddizione nel titolo, che fa da leitmotiv a tutte le contraddizioni che ci sono nei sentimenti dei due personaggi.

– Perchè parlare di amore, ancora ?
L’amore è stato messo in una scatola troppo stretta per tutti.
Ho fatto la rompiscatole.
Volevo provare a rappresentare una mitologia contemporanea dell’amore. Avevo bisogno di restituire a questa forza più complessità.
C’è una donna sincera. Un uomo sincero. Sbagliano entrambi, non sanno parlare, sono in preda alla loro passione, al dolore, in lutto. Sono attaccati al sentimento come adolescenti. E’ una tragedia greca. Ma su tutto, più di tutto, e lì è la magia dell’amore, è che esce qualcosa di profondo di loro stessi,  è che, nonostante il caos, immaginano. E l’immaginazione è un atto creativo. La relazione è creativa, oltre che procreativa. C’è sempre Eros di mezzo.

Intervista in occasione dell’uscita del film “Fiamma d’amore viva” su Santa Gemma Galgani
 BuonGiorno con Noi 23.03.18

Intervista con Paola Taddeucci
Il Tirreno – Per vivere ogni giorno la magia di Jan Fabre ho imparato a Volare

Intervista con Debora Pioli
Cronaca Regionale Capannori – Lucciole nello stomaco
TG Regione

Intervista fatta da Big.net di F.Santoro il 20 ottobre 2011

“Chi mi conosce sa quanto c’ho provato ad essere comprensibile. E quando voglio essere comprensibile sembro seria. Quando sembro seria faccio paura. O mi faccio paura. Cerco un’altra sensazione che non sia scivolare in un abisso. Arranco. Vedo che ho un fiore nell’occhio. Non un fiore all’occhiello, un fiore nell’occhio. Io non so cosa sia un occhiello. Forse non ho nemmeno un occhiello. La preoccupazione sale. Scuoto la testa e il fiore cade. I miei due o tre occhi sono liberi. Il fiore è nell’acqua sotto di me, l’acqua lo porta tra altre foglie cadute e fiori caduti. Li guardo così tanto, che scompaio. Eh?”

Ciao Giulia, grazie per averci concesso questo incontro.

“Grazie a voi.”

Per prima cosa vorremmo chiederti chi è Giulia Perelli?

“Giulia Perelli chi?

…è più di là che di qua.”

Qual’e’ il contesto sociale dal quale provieni ?

“Ho vissuto su una collina senza recinzioni, da cui si vede una città chiusa dalle mura. Mi sono sentita fortunata.”

Il tuo CV rivela il tuo interesse riguardo a forme artistiche. Cosa o chi ti ha spinto poi ad orientarti nella recitazione nello specifico?

“I greci lo chiamavano daimon… ”

Quali sono state le tue prime esperienze davanti ad un pubblico ? Ricordi cosa hai provato ?

“La prima volta in assoluto avevo 5 anni, facevo la parte del nonno, nascosi i capelli dentro il basco, mi misi il gilet, preparai tutto con cura e serietà. Nello spettacolo pensai di zoppicare, e mia madre stette tutto il tempo a guardarmi ansiosa e preoccupata. Credeva mi fossi fatta male.
A ripensarci, non è cambiato molto…”

Nella vita cosa ti rende felice e cosa ti fa paura?

Mi fa paura… perdere la fantasia. La stupidità (specialmente la mia), la perdita dei neuroni…  La monocoltura: lasciarsi ingannare dai “protocolli”, dalle categorie imposte che troppo spesso chiamiamo realtà.
Sono felice quando lavoro. Quando ho degli incontri interessanti, con persone che sanno immaginare,  in una chiacchierata franca…Ma anche così, quando bevo un bicchiere d’acqua buona, quando c’è tenerezza.

E nel mondo del palcoscenico, invece?
“Mi fa paura non avere prospettive di lavoro. Ma come dice ai giovani Franco Berardi: “non avere paura del futuro, tanto non ce l’hai”.
Mi rende felice pensare che invece un futuro ce l’ho…
Spesso sono felice senza motivo in effetti. Forse campo di rendita, ho avuto dei bei momenti.  Sto iniziando ad avere delle belle gratificazioni, ho incontrato persone autentiche, leggo diversi libri di poesia… contribuiscono tanto alla mia felicità. Sanno  trasformare muri in porte.

Secondo te occorre avere requisiti particolari per svolgere questo mestiere, oltre ovviamente a saper recitare?

“Saper recitare è un po’ come saper vivere con naturalezza… mica poco.  C’è da saper ricevere e saper dare, sganciare una certa razionalità… Comunque ci sono tanti tipi di attori, ognuno lavora con la propria identità, con quello che sa vedere e sentire della vita.
Penso che ci vogliono lunghi anni di fedeltà ai lati oscuri e ai luminosi della propria psiche. E la voglia di giocare, la generosità di far vedere tutti sé stessi e rara, meravigliosa… la creatività. ”

Credi che le scuole e le accademie abbiano ancora una loro importanza in quest’ambito?

“Credo di sì. Serve uno spazio protetto, fuori dalle luci del giudizio, per potersi mettere in gioco, esplorare se stessi, imparare a vivere il presente, scoprire le passioni umane. Ed anche nutrirsi di cultura, che aumenta il nostro bagaglio di emozioni, idee, sensibilità.
Ma può essere un “periodo difficile” se se si incontrano cattivi maestri e se si seguono alla cieca. Credo che una persona debba avere un filtro dentro di sé attraverso cui fa passare ciò che gli corrisponde, ciò che lo rende sempre più autentico.”

Cuore e testa. Mentre reciti, cosa prevale?

Il corpo. Che forse ha la sanità di non dividere testa e cuore.
E la meraviglia. Dov’è la meraviglia? Nel cuore o nella testa?

Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa nelle tue scelte professionali ?

“Sì, ma non amo lamentarmi. Mi porto gli sbagli in valigia, nel caso servissero. ”

Quando non lavori e non sei impegnata nel tuo lavoro, cosa ti piace fare ?

“Come ogni italiana/o cerco di capire che sta succedendo nel nostro Paese . Ma questo è un secondo lavoro… C’è da sviscerare la cronaca dei fatti dallo tsunami di opinioni. Quasi impossibile. In più ci si ritrova coi pensieri nelle sabbie mobili. E allora mi piace  camminare nei boschi. Nuotare. Ascoltare le vite degli altri. Immaginare come migliorare la mia. Che sono tutte, in un certo senso,  forme d’arte. ”

Cosa pensi di internet ?  Ci puoi dire come e quanto lo usi ?

“Credo che la rete sia utile per i legami che intreccia, e pericolosa se ci si casca dentro.
E’ una finestra che apre a tantissimi paesaggi, collega due grandi ricchezze: le persone e l’informazione. E’ un’arma democratica  potente, la più decentrata e quindi la più democratica, raccoglie  informazioni che tv e giornali censurano. Ma può far dimenticare la stanza che ci circonda, perdere il contatto con la realtà, allontanarci dal proprio personale mondo immaginario.
Poi c’è il problema della pirateria. Sicuramente ha danneggiato il mercato cinematografico e musicale, ma forse, anziché arginare questo “torrent”, dovremmo iniziare a pensare che il web potrebbe aiutare il grosso problema della distribuzione. Personalmente quindi, vorrei sfruttarlo di più.”

Potresti comunicarci i tuoi progetti immediati?

Dal 25 ottobre 2011 sarò in scena al Teatro dell’Orologio (Roma) con “Lucciole nel campo”, un “one woman show” con cui ho vinto un concorso teatrale.

Ho appena finito le riprese di “The dark night” di Daniel Marini. E’ un omaggio a David Lynch, dalla atmosfere noir anni ’40. Sono molto felice di questo lavoro. Ha aperto molte porte della mia immaginazione.

Torno in scena con “Voci nel deserto”, un collettivo d’attori nato due anni e mezzo fa da un’idea di Marco Melloni, che ricicla frammenti di opere, canzoni, pensieri di autori del passato, da Platone a Pasolini, a Gaber, a Orwell che sono anacronistici e, assemblati in uno spettacolo, riescono a ritrarre un quadro sociale e politico del mondo di oggi. Soprattutto dell’Italia di oggi.

I sogni per il futuro, invece, quali sono?

Ho il mio elenco dettagliatissimo di ruoli che vorrei interpretare e di registi, attori, artisti con cui sogno di lavorare… E scrivere, pubblicare, piantare un bosco.

Che tipo di ruoli?

Vorrei interpretare dei tipi di donne che propongono qualcosa di nuovo, che fanno aprire le possibilità della vita di una persona. C’è gente che si è fatta spegnere i desideri, e invece potremmo vivere molto più eroicamente. E’ saper vivere fino in fondo la gioia e il dolore. Nelle piccole cose, anche. Nella comprensione, nell’essere più coscienti. Più poetici. Più fantasiosi. Vorrei dare input. “No input, no output”, dicevano i Clash (mi sembra che era qualcuno dei Clash… Joe Strummer?). Input poi significa “ingresso”, ecco, vorrei trovare ingressi nei muri.

Come ti vedi tra dieci anni?

Una donna che si concede tutto. E che dà tutto. Sò ottimista.

Grazie per la disponibilità Giulia.

 

Copyright ©GiuliaPerelli