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Intervista Big.net di F.Santoro il 20 ottobre 2011

“Chi mi conosce sa quanto c’ho provato ad essere comprensibile. E quando voglio essere comprensibile sembro seria. Quando sembro seria faccio paura. O mi faccio paura. Cerco un’altra sensazione che non sia scivolare in un abisso. Arranco. Vedo che ho un fiore nell’occhio. Non un fiore all’occhiello, un fiore nell’occhio. Io non so cosa sia un occhiello. Forse non ho nemmeno un occhiello. La preoccupazione sale. Scuoto la testa e il fiore cade. I miei due o tre occhi sono liberi. Il fiore è nell’acqua sotto di me, l’acqua lo porta tra altre foglie cadute e fiori caduti. Li guardo così tanto, che scompaio. Eh?”

 

Ciao Giulia, grazie per averci concesso questo incontro.

“Grazie a voi.”

Per prima cosa vorremmo chiederti chi è Giulia Perelli?

“Giulia Perelli chi?

…è più di là che di qua.”

Qual’e’ il contesto sociale dal quale provieni ?

“Ho vissuto su una collina senza recinzioni, da cui si vede una città chiusa dalle mura. Mi sono sentita fortunata.”

Il tuo CV rivela il tuo interesse riguardo a forme artistiche. Cosa o chi ti ha spinto poi ad orientarti nella recitazione nello specifico?

“I greci lo chiamavano daimon… ”

Quali sono state le tue prime esperienze davanti ad un pubblico ? Ricordi cosa hai provato ?

“La prima volta in assoluto avevo 5 anni, facevo la parte del nonno, nascosi i capelli dentro il basco, mi misi il gilet, preparai tutto con cura e serietà. Nello spettacolo pensai di zoppicare, e mia madre stette tutto il tempo a guardarmi ansiosa e preoccupata. Credeva mi fossi fatta male.
A ripensarci, non è cambiato molto…”

Nella vita cosa ti rende felice e cosa ti fa paura?

Mi fa paura… perdere la fantasia. La stupidità (specialmente la mia), la perdita dei neuroni…  La monocoltura: lasciarsi ingannare dai “protocolli”, dalle categorie imposte che troppo spesso chiamiamo realtà.
Sono felice quando lavoro. Quando ho degli incontri interessanti, con persone che sanno immaginare,  in una chiacchierata franca…Ma anche così, quando bevo un bicchiere d’acqua buona, quando c’è tenerezza.

E nel mondo del palcoscenico, invece?
“Mi fa paura non avere prospettive di lavoro. Ma come dice ai giovani Franco Berardi: “non avere paura del futuro, tanto non ce l’hai”.
Mi rende felice pensare che invece un futuro ce l’ho…
Spesso sono felice senza motivo in effetti. Forse campo di rendita, ho avuto dei bei momenti.  Sto iniziando ad avere delle belle gratificazioni, ho incontrato persone autentiche, leggo diversi libri di poesia… contribuiscono tanto alla mia felicità. Sanno  trasformare muri in porte.

Secondo te occorre avere requisiti particolari per svolgere questo mestiere, oltre ovviamente a saper recitare?

“Saper recitare è un po’ come saper vivere con naturalezza… mica poco.  C’è da saper ricevere e saper dare, sganciare una certa razionalità… Comunque ci sono tanti tipi di attori, ognuno lavora con la propria identità, con quello che sa vedere e sentire della vita.
Penso che ci vogliono lunghi anni di fedeltà ai lati oscuri e ai luminosi della propria psiche. E la voglia di giocare, la generosità di far vedere tutti sé stessi e rara, meravigliosa… la creatività. ”

Credi che le scuole e le accademie abbiano ancora una loro importanza in quest’ambito?

“Credo di sì. Serve uno spazio protetto, fuori dalle luci del giudizio, per potersi mettere in gioco, esplorare se stessi, imparare a vivere il presente, scoprire le passioni umane. Ed anche nutrirsi di cultura, che aumenta il nostro bagaglio di emozioni, idee, sensibilità.
Ma può essere un “periodo difficile” se se si incontrano cattivi maestri e se si seguono alla cieca. Credo che una persona debba avere un filtro dentro di sé attraverso cui fa passare ciò che gli corrisponde, ciò che lo rende sempre più autentico.”

Cuore e testa. Mentre reciti, cosa prevale?

Il corpo. Che forse ha la sanità di non dividere testa e cuore.
E la meraviglia. Dov’è la meraviglia? Nel cuore o nella testa?

Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa nelle tue scelte professionali ?

“Sì, ma non amo lamentarmi. Mi porto gli sbagli in valigia, nel caso servissero. ”

Quando non lavori e non sei impegnata nel tuo lavoro, cosa ti piace fare ?

“Come ogni italiana/o cerco di capire che sta succedendo nel nostro Paese . Ma questo è un secondo lavoro… C’è da sviscerare la cronaca dei fatti dallo tsunami di opinioni. Quasi impossibile. In più ci si ritrova coi pensieri nelle sabbie mobili. E allora mi piace  camminare nei boschi. Nuotare. Ascoltare le vite degli altri. Immaginare come migliorare la mia. Che sono tutte, in un certo senso,  forme d’arte. ”

Cosa pensi di internet ?  Ci puoi dire come e quanto lo usi ?

“Credo che la rete sia utile per i legami che intreccia, e pericolosa se ci si casca dentro.
E’ una finestra che apre a tantissimi paesaggi, collega due grandi ricchezze: le persone e l’informazione. E’ un’arma democratica  potente, la più decentrata e quindi la più democratica, raccoglie  informazioni che tv e giornali censurano. Ma può far dimenticare la stanza che ci circonda, perdere il contatto con la realtà, allontanarci dal proprio personale mondo immaginario.
Poi c’è il problema della pirateria. Sicuramente ha danneggiato il mercato cinematografico e musicale, ma forse, anziché arginare questo “torrent”, dovremmo iniziare a pensare che il web potrebbe aiutare il grosso problema della distribuzione. Personalmente quindi, vorrei sfruttarlo di più.”

Potresti comunicarci i tuoi progetti immediati?

Dal 25 ottobre 2011 sarò in scena al Teatro dell’Orologio (Roma) con “Lucciole nel campo”, un “one woman show” con cui ho vinto un concorso teatrale.

Ho appena finito le riprese di “The dark night” di Daniel Marini. E’ un omaggio a David Lynch, dalla atmosfere noir anni ’40. Sono molto felice di questo lavoro. Ha aperto molte porte della mia immaginazione.

Torno in scena con “Voci nel deserto”, un collettivo d’attori nato due anni e mezzo fa da un’idea di Marco Melloni, che ricicla frammenti di opere, canzoni, pensieri di autori del passato, da Platone a Pasolini, a Gaber, a Orwell che sono anacronistici e, assemblati in uno spettacolo, riescono a ritrarre un quadro sociale e politico del mondo di oggi. Soprattutto dell’Italia di oggi.

I sogni per il futuro, invece, quali sono?

Ho il mio elenco dettagliatissimo di ruoli che vorrei interpretare e di registi, attori, artisti con cui sogno di lavorare… E scrivere, pubblicare, piantare un bosco.

Che tipo di ruoli?

Vorrei interpretare dei tipi di donne che propongono qualcosa di nuovo, che fanno aprire le possibilità della vita di una persona. C’è gente che si è fatta spegnere i desideri, e invece potremmo vivere molto più eroicamente. E’ saper vivere fino in fondo la gioia e il dolore. Nelle piccole cose, anche. Nella comprensione, nell’essere più coscienti. Più poetici. Più fantasiosi. Vorrei dare input. “No input, no output”, dicevano i Clash (mi sembra che era qualcuno dei Clash… Joe Strummer?). Input poi significa “ingresso”, ecco, vorrei trovare ingressi nei muri.

Come ti vedi tra dieci anni?

Una donna che si concede tutto. E che dà tutto. Sò ottimista.

Grazie per la disponibilità Giulia.

 

 

Copyright ©GiuliaPerelli

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